28/01/12

Sulla (tardiva) discesa in rete del Pdl


Io non so se nel Pdl se ne rendano conto, ma all’alba del 2012 uscirsene con frasi come «Oggi, dopo diciotto anni siamo qui ad annunciare la nostra discesa in rete convinti che la rete sia la nuova agorà un formidabile luogo di incontro» (Silvio Berlusconi) o «Da oggi l’Agenda Digitale è un tema centrale nel nostro programma politico, dalla rete possono nascere migliaia di opportunità di lavoro e grazie alla rete possiamo dare un nuovo importante impulso all’economia italiana» (Angelino Alfano) suona come una terribile ammissione di arretratezza e, allo stesso tempo, colpevolezza.

Nel senso: finora, cari vertici del Pdl, come avete fatto a non accorgervi della centralità di Internet? Dove eravate mentre il mondo, oltre a ripetere l’ovvio (la rete è di una «nuova agorà», un «formidabile luogo di incontro», un «importante impulso all’economia»), ha iniziato per esempio a chiedersi se davvero più Internet significhi immediatamente più democrazia (o se al contrario, date certe condizioni, possa rafforzare i regimi autoritari); se il potere non si sia concentrato eccessivamente e in modo sregolato anche sul web (e di conseguenza la politica non debba intervenire per combatterne gli abusi), se la presenza online dei partiti si traduca davvero maggiore partecipazione dei cittadini o solamente in maggiori dosi di propaganda?

Domande a cui segue, a mio avviso, un’altra ammissione implicita: finora non abbiamo nulla (o almeno: non abbiamo fatto abbastanza) per la rete. Perché altrimenti dire che «da oggi l’agenda digitale è un tema centrale nel nostro programma politico»? Da oggi? Ma se esperti e società civile hanno passato almeno gli ultimi due anni a cercare di farvi capire in tutti i modi quanto fosse importante, mentre eravate al governo! Allora niente, però. Anzi: l’allora ministro Romani faceva il gradasso, parlando di miliardi di investimenti che poi sono spariti nel nulla e di una fantomatica agenda digitale già stabilita (dunque l’errore in quel da oggi è doppio) che tuttavia è rimasta impalpabile a sua volta. Il tutto mentre palpabilissima era la minaccia dell’omonimo decreto che rischiava di trasformare Internet in una grande televisione. E palpabilissime erano le conseguenze nefaste del decreto Pisanu sulla diffusione del wifi.

In altre parole: bisognava davvero aspettare il 2012 per proclamare solennemente la «discesa in rete» dell’ormai attempato Berlusconi e dei suoi? Non mi si fraintenda: non che questa «rivoluzione digitale del Pdl», come la chiama Alfano, sia sgradita. Anzi. Il nuovo sito ha funzionalità interessanti (per esempio le pagine che raccolgono tutte le presenze online di deputati, eurodeputati e senatori); l’idea di una ‘Political Digital Academy’ è ottima, e potrebbe magari risparmiarci ulteriori leggi impresentabili contro cui gridare al bavaglio e alla censura – a volte magari tirandole un po’ per i capelli – per disinnescarle. Allo stesso modo, visti i ritardi oramai arcinoti dell’Italia sull’argomento, ben venga anche l’impegno di dare centralità all’agenda digitale.

Ma davvero, l’impressione è che tutto questo avrebbe potuto avvenire, se non proprio nel 1994 – quello sì che sarebbe stato rivoluzionarioalmeno nel 2001. Invece, dopo 18 anni in cui Internet è stata considerata prima di tutto una minaccia all’impero televisivo, un covo di bugiardi, mascalzoni, odiatori di professione e «pericolosi sovversivi» (cit), arriva la discesa in rete, luogo di libertà, dialogo e sviluppo economico. Ecco, mi si consenta almeno questo elementare esercizio di memoria, prima di augurare al partito di mantenere – questa volta per davvero – i buoni (e giusti) propositi.

di Fabio Chiusi

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